Un possibile marker di stato in depressione e mania bipolare

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 16 aprile 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Per alcuni decenni la pratica psichiatrica è stata caratterizzata dalla divisione fra due approcci radicalmente diversi, l’uno psicologico, nelle varianti psicoanalitica, fenomenologica, relazionale e cognitivista, l’altro psicobiologico, dispregiativamente definito “organicista”, che contemplava un rapporto col paziente simile a quello di altre branche della medicina e centrava l’intervento sulla prescrizione di farmaci, non escludendo il ricorso a pratiche aspramente criticate, quali l’elettroshock.

In Italia la separazione, nutrita dallo sviluppo di tesi ideologiche e dal lavoro di formazione extrauniversitario delle oltre cinquecento scuole di psicoterapia che si rivolgevano a medici e a laureati in psicologia ancora privi di un riconoscimento legale per la professione di psicologo o psicoterapeuta, era diventata contrapposizione faziosa, non di rado legata a movimenti politici ed espressa attraverso azioni clamorose[1].

Si è trattato di una vera e propria “patologia della professione”, sviluppata a quasi due secoli di distanza dalla prima medicalizzazione del disagio psichico e dei disturbi mentali[2]. Se ne parla oggi, non solo e non tanto perché un buon numero di protagonisti di quella stagione ancora esercita la pratica psichiatrica o da poco ha raggiunto l’età della pensione e continua a ricoprire ruoli apicali in istituzioni rilevanti, ma soprattutto perché l’insegnamento, il grande numero di saggi ponderosi e di articoli diffusi oltre l’ambito professionale, come strumento di dibattito culturale, materiale di informazione sociale o formazione di massa, ha lasciato una scia di luoghi comuni quanto meno discutibili e di convinzioni francamente erronee. Ad esempio, esiste ancora un’immagine negativa del sapere biologico dovuta all’erronea associazione della cosiddetta “psichiatria biologica” alle pratiche terapeutiche poco rispettose del paziente, propugnate da “organicisti” assimilati ai sinistri esecutori dei poteri dittatoriali che hanno impiegato la psichiatria come mezzo di repressione e tortura di avversari politici.

La neurobiologia è un ambito quanto mai ricco e vario per concezioni e posizioni, nella massima parte ispirate alle più avanzate e civili tesi umanitarie, come si può facilmente verificare leggendo i saggi di Steven Rose, uno dei suoi fondatori. In realtà, molti ricercatori di hard science, o “ricerca di base”, come si diceva un tempo, fra i neurochimici, i neurobiologi molecolari e i neurogenetisti, ritengono, oggi come trent’anni fa, che allo stato attuale delle conoscenze è ancora presto per concepire un approccio terapeutico in psichiatria totalmente fondato sulla neurobiologia. Pertanto, se si vuole generalizzare considerando il pensiero della maggioranza, si può tranquillamente affermare che i neurobiologi sperimentali sono fra i più prudenti nel concepire l’approccio alla persona con disturbi mentali. Inoltre, se la limitata esperienza di chi scrive può essere presa in considerazione, si deve tener conto che molti neurobiologi in Europa e in America sono attratti da un approccio olistico all’unità mente-corpo ed impiegano per la propria salute psichica pratiche quali lo yoga e la meditazione trascendentale.

Un’altra eredità negativa è data dalla confusione della ricerca biomolecolare finanziata e condotta dalle case farmaceutiche allo scopo di sintetizzare e sperimentare potenziali farmaci da mettere sul mercato per fini ed interessi aziendali ed economici, con la ricerca indipendente attuata al solo fine di conoscenza e potenzialmente utile per la ricerca applicata di ambito biomedico che indaga le potenzialità per fini diagnostici o terapeutici di applicazioni delle scoperte emerse dalla ricerca di base[3]. Un esempio, al riguardo, è la storia della scoperta del fattore di crescita della cellula nervosa da parte di Rita Levi-Montalcini.

La principale novità di questi ultimi decenni è che un ponte, non più esile e incerto come negli anni Novanta, fra il frammentario e parziale sapere del livello molecolare e l’accessibile livello della prestazione psicologica e comportamentale è stato gettato. La combinazione delle conoscenze derivanti dallo studio dei sistemi neuronici con quelle ottenute osservando la funzione del cervello umano in attività durante compiti sperimentali, comincia a fornire una base totalmente nuova per lo studio della fisiopatologia mentale e sicuramente più prossima alla realtà della base cerebrale delle funzioni psichiche.

L’identificazione mediante la risonanza magnetica funzionale (fMRI, da functional magnetic resonance imaging) di reti di aree la cui attività può essere associata con precisione a stati facilmente caratterizzabili in termini oggettivi, costituisce attualmente uno dei campi più promettenti per la comprensione dei correlati cerebrali della sintomatologia psichiatrica. Matteo Martino dell’Università di Genova e colleghi facenti capo ad istituzioni scientifiche di Canada, Cina, Stati Uniti e Taiwan, hanno studiato lo squilibrio di reti neuroniche di grande scala nel disturbo bipolare, identificando un probabile marker di stato che potrebbe costituire un utile segno di oggettività diagnostica e un punto di partenza per ulteriori studi (Martino M., et al, Contrasting variability patterns in the default mode and sensorimotor networks balance in bipolar depression and mania. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.1517558113, 2016).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Neuroscience, Rehabilitation, Ophthalmology, Genetics, and Maternal and Child Health, Section of Psychiatry, University of Genoa, Genoa (Italia); Mind, Brain Imaging, and Neuroethics, Royal’s Institute of Mental Health Research, University of Ottawa, Ottawa, ON (Canada); Department of Radiology, Section of Neuroradiology, Magnetic Resonance Research Center on Nervous System Diseases, University of Genoa (Italia); Graduate Institute of Humanities in Medicine, Research Center for Brain, Mind and Learning, Taipei Medical University, Taipei City (Taiwan); Center for Cognition and Brain Disorder, Normal University Hangzhou, Hangzhou (Cina); Department of Neurology, Radiology and Neuroscience, Mount Sinai School of Medicine, New York (USA); Department of Philosophy and Cognition, Zhejang University, Hangzhou (Cina).

[Edited by Marcus E. Raichle, Washington University in St. Louis, St. Louis, MO, USA].

In termini clinici, le fasi alterne di depressione ed eccitazione, che caratterizzano lo stato mentale delle persone affette da disturbo bipolare, possono descriversi come due opposte costellazioni di sintomi affettivi, cognitivi e psicomotori. Tale fenomenica, associata ai rilievi dello psichiatra relativi al vissuto soggettivo sperimentato dal paziente, è stata posta in relazione, da vari studi recenti, con squilibri fra due grandi reti funzionali identificate mediante fMRI, implicate come correlati fisiopatologici del disturbo bipolare e studiate in numerosi e differenti contesti normali e patologici: la rete di default DMN (default mode network) e la rete sensomotoria SMN (sensorimotor network).

Gli autori dello studio hanno attentamente valutato in queste due grandi reti un importante indice di attività neuronica, ossia la variabilità di ampiezza del segnale dello stato di riposo e gli equilibri di DMN e SMN nel cervello di persone diagnosticate di disturbo bipolare.

L’osservazione delle immagini chiaramente dimostrava che il bilanciamento DMN/SMN nella fase depressiva si perdeva, con un forte squilibrio a vantaggio del funzionamento delle aree appartenenti alla DMN. La depressione, caratterizzata da un’eccessiva focalizzazione sul pensiero “interno” e da processi mentali quali rimuginazione, rielaborazione episodica lenta e ripetitiva, persistenza di motivi musicali che si impongono alla coscienza, ed altri tratti funzionali messi in rapporto con iperfunzione della DMN, si accompagna a gradi più o meno elevati di inibizione psicomotoria. Per contro, l’osservazione delle immagini riferite al funzionamento cerebrale in fase di eccitazione maniacale, caratterizzata da un’eccessiva focalizzazione sui contenuti dell’ambiente esterno e da uno stato di ipercinesia che spinge all’iperattività, mostrava che l’equilibrio DMN/SMN era notevolmente sbilanciato in favore delle aree appartenenti alla SMN.

Coerentemente con queste osservazioni, i due blocchi contrapposti di manifestazioni cliniche di depressione ed eccitazione, possono essere correlati a configurazioni spaziotemporali opposte nella struttura dello stato di riposo.

Ma entriamo un po’ più nel dettaglio dello studio.

I ricercatori hanno indagato i patterns topografici di variabilità nel segnale dello stato di riposo, misurato come frazioni di SD (fSD) del segnale BOLD in più reti neuroniche, fra cui DMN e SMN, in due bande di frequenza denominate Slow5 e Slow4, con la loro ratio e correlazioni cliniche nei depressi (n = 20), negli eccitati (n = 20) e negli eutimici (n = 20), confrontati con soggetti in buone condizioni di salute psicofisica, fungenti da gruppo di controllo (n = 40).

Dopo aver effettuato il controllo per variazioni globali del segnale, Matteo Martino e colleghi hanno valutato il rapporto topografico fra DMN e SMN specificamente nella più bassa banda di frequenza, calcolandolo come ratio Slow5 fSD DMN/SMN, e lo hanno trovato significativamente accresciuto nella depressione e, allo stesso modo, significativamente ridotto nell’eccitazione maniacale. La variabilità di Slow5 era inoltre aumentata in DMN e diminuita in SMN nei pazienti depressi, mentre nei pazienti in fase maniacale si registrava il pattern opposto.

Si è infine rilevato che la ratio Slow5 fSD DMN/SMN correlava positivamente con i punteggi dei test per la valutazione clinica dei sintomi depressivi e negativamente con quelli corrispondenti ai sintomi dell’eccitazione maniacale.

Questi risultati ottenuti dallo studio principale, sono stati sostanzialmente replicati in un campione più piccolo e indipendente di persone affette da disturbo bipolare.

Sulla base dei rilievi effettuati, gli autori dello studio hanno dimostrato anomalie nella variabilità dello stato di riposo frequenza-specifico nel bilancio fra DMN e SMN con configurazioni opposte per depressione e mania. La ratio Slow5 fSD DMN/SMN era spostata verso la rete di default nella depressione, mentre virava verso la rete sensomotoria nella mania.

Su questa base, Martino e colleghi propongono il pattern Slow5 fSD DMN/SMN come state-biomarker, ossia come contrassegno biologico di depressione ed eccitazione maniacale nella diagnosi e nella terapia.

 

L’autrice della nota ringrazia la professoressa Monica Lanfredini la correzione del testo e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-16 aprile 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Si ricordano, negli anni Ottanta, ad esempio, degli estremisti di “Psichiatria Democratica” che appiccavano il fuoco nelle sedi di convegni universitari di psichiatria rei di includere fra i relatori gli odiati “organicisti”.

[2] Si veda nella sezione “IN CORSO”: La concezione dei disturbi mentali nella storia.

[3] Abbiamo cercato, in tutti questi anni, di dare un contributo di conoscenza al riguardo con numerosi articoli pubblicati nelle “Note e Notizie”, i cui temi spaziano dalle frodi delle case farmaceutiche alla critica dei neurobiologi a tesi di farmacoterapia psichiatrica.